Una piacevolissima sorpresa – 2

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(continua da &#034Una piacevolissima sorpresa – 1&#034)
Rita aveva smesso e mi guardava sorridendo. Rimanemmo in silenzio qualche minuto.
Rientrò Angela dopo qualche minuto, vestita in nero di pizzo e pronta per uscire.
“Gli hai raccontato la mia storia?”
“no…” .- con un piccolo gesto di disappunto, “come vedi non ho fatto in tempo”
Esordì così:
“Avevo sedici anni, ne ho ventuno adesso, e una notte mentre dormivo mi sveglio di soprassalto perché sento mia madre che grida da un’altra stanza.”
“Mi alzo e corro verso la porta da dove proveniva quel grido, cerco di aprire ma era chiusa a chiave”
“Mamma! Mamma! apri, che succede?”
E mia madre:
“No, nulla, non preoccuparti, ho avuto un incubo”
“ma perché hai chiuso a chiave?”
“poi ti spiego, adesso vai a dormire”
“va bene, buonanotte”
Poi sentii che aveva aperto la porta, io mi rialzai di nuovo dal letto e corsi verso la sua stanza. Lei non c’era. E sentivo un odore pungente, molto forte, che non avevo mai sentito prima. Lo sentii più forte vicino il letto. Era un odore acre che non mi piaceva molto.
Uscii e chiamai mia madre che era in cucina. La cucina era vicina alla porta d’ingresso della casa. Capii dopo perché lei si trovava lì.
“mamma, ho sentito un odore così forte nella tua stanza, cos’era?”
“Poi te lo spiegherò, quando avrai 18 anni, adesso vai a letto”
“Va bene, buonanotte”
“Sentii quello stesso odore negli anni altre due o tre volte, ma, nei casi successivi, di pomeriggio quando ritornavo da scuola.”
Avevo 17 anni e mezzo e mi affezionai ad un ragazzo. Uscivamo insieme, finché un pomeriggio mi portò a casa sua. Non c’erano i suoi familiari. Ci spogliammo e facemmo l’amore, ma non un rapporto completo. Poi, ad un certo punto portò il mio viso verso il suo pene, era eccitatissimo e mi spruzzò un liquido bianco sul viso: risentii quello stesso odore che mi aveva perseguitato per anni. Così, in quel momento capii tutto. Mi asciugai il viso e gli dissi che volevo tornare a casa subito.
Lui non si tirò indietro, ormai aveva raggiunto il suo scopo con me, fra l’altro mi aveva fatto sentire poco e nulla, non si preoccupò affatto di fare gioire anche me.
Ritornai a casa raggiante e chiamai subito mia madre, con un impeto di vittoria.
“Che c’è, che ti succede?” mi chiese
“Ho capito tutto”
“Cosa hai capito?”
“In questi anni tu sei stata con altri uomini, quando non c’era papà.”
“Fra sei mesi ti avrei detto tutto!”
“Eh! Ma io l’ho scoperto adesso” e le raccontai quello che mi era successo nel pomeriggio.
Io amavo mia madre, e quello che lei faceva, era per me giusto. Non la colpevolizzai. Le chiesi soltanto perché avesse bisogno di altri uomini.
E lei mi rispose: “non ho bisogno di altri uomini, me ne innamoro e basta”.
“E papà non l’ami più?”
“Amo anche lui”
Rimasi in silenzio. Ero felice di aver capito qualcosa che forse non avrei capito per molti anni a venire.
Mi abbracciò e mi tenne stretta a sé.
Dopo che abbi compiuto 18 anni, un giorno le chiesi se avesse trovato qualcuno. Lei mi diede risposta affermativa e mi promise che me lo avrebbe fatto conoscere. La settimana successiva, mi disse, aveva programmato quell’incontro nella giornata in cui sarei ritornata a casa per le 15, cioè il giovedì.
Arrivò quel giorno e al ritorno a casa, appena entrata, chiamai subito mia madre che mi accolse sorridendo. Andammo nella stanza solita “degli incontri” e mi presentò un certo Callisto.
Questi, appena mi vide, incominciò a tremare, e, strozzato in gola, rivolta a mia madre ripeteva: “E’ bellissima”.
Mia madre si aspettava una reazione del genere. E allora mi chiamò da parte in un’altra stanza chiedendomi cosa ne pensassi di lui.
Le risposi che era un uomo simpatico, dolce.
E poi riprese: “ti andrebbe di fare l’amore con lui, non completamente, però almeno provare le emozioni del sesso con un altro uomo?”
In effetti, dopo quell’unica esperienza che avevo avuto, non proprio bellissima, quella proposta mi stuzzicava parecchio, quell’uomo mi piaceva.
Poi ebbi un dubbio: “ E tu?”
“Io?… Se tu sei d’accordo io sarò insieme a voi.”
“Insieme a noi? Come, scusa?”
“Nel senso che potremo vivere insieme queste esperienze…”
Rimasi perplessa un attimo.
“Veramente non mi aspettavo questo genere di cose, anche se non mi aspettavo nemmeno che mi proponessi di andare a letto con un uomo che avevi conosciuto per te”
“Ti ho sorpreso?”
“Parecchio!”
Mi affacciai per un attimo a vedere quell’uomo seduto su una poltrona della stanza che guardava intorno estasiato e cercai di immaginarmi una situazione “estesa” a tutti e tre. Non era poi così “cattiva” come ipotesi, pensai.
La guardai negli occhi divertita e pensai che se lei voleva questo, tutto quello che chiedeva non era sbagliato, lo sentiva, e desiderava che anch’io lo sentissi.
Con entusiasmo, le diedi il mio assenso: “Va bene, accetto!.
“Però, ricordati, non voglio che abbiate rapporti completi, sei d’accordo su questo punto?”
“Si, daccordissimo”.
Ritornammo insieme nella stanza.
“Allora, Callisto, che vuoi fare?” le chiese mia madre
“Avrei solo un desiderio, quello che ti ho confidato l’altro giorno”
“Vorresti esaudirlo con lei, scommetto, non è vero?”
“Beh! Ne sarei felicissimo”
“Adesso vediamo che si può fare”
Mia madre mi prese nuovamente da parte e mi espose quale fosse il suo desiderio.
Quando me lo raccontò, mi stava venendo da ridere. Ma mi fermai in tempo.
Avevamo in casa un specie di sdraio a triangolo formata da una spalliera che si sosteneva inserendo il lato basso in alluminio dentro una scanalatura orizzontale aderente a terra, anch’essa in alluminio. Insomma, ci si poteva soltanto poggiare la schiena, ma le gambe di chi sedeva poggiavano distese a terra.
Per poter esaudire quel desiderio, ci serviva proprio quel sedile.
Lo presi, lo posizionai sul letto rivolto di profilo alla testata del letto. Poi lui si sedette su quella sdraio appoggiandosi la schiena e stendendo le gambe verso la sponda laterale destra.
Io mi sedetti entrando le gambe nello spazio triangolare interno, vuoto, appoggiandomi sulla parete della testata.
Quindi, in questa posizione un po’ scomoda intervenne mia madre, mi tolse la camicetta ed anche il reggiseno. Quindi, mi prese l’indice e il medio inserendoci dentro il mio capezzolo destro che portai alla bocca di lui che si era girato verso di me a ciucciare: voleva ritornare bambino. La sua mano destra roteava palpando il mio seno sinistro. Nel frattempo, mia madre aveva messo fuori il suo pene e, secondo gli accordi, io avrei dovuto masturbarlo mentre mi succhiava il seno. Non feci in tempo a fare due movimenti in su e giù che mi venne addosso sulla mano mentre sussurrava: “E’ meraviglioso…è meraviglioso…oh!” Immediatamente, intervenne mia madre a pulire, succhiando e leccando con la lingua tutto quanto stava tra la mia mano e il suo pene.”
Poi mi venne in mente un pensiero: perché lasciava che in questo gioco l’unico che godesse fosse lui e noi saremmo rimaste, diciamo così, “all’asciutto?”
Avrei avuto la risposta più tardi.
Lui, soddisfatto e ringraziandoci infinitamente, quasi come un giapponese, se ne andò subito dopo.
Appena ebbe richiuso la porta d’entrata, si girò verso di me e mi chiese, aspettando con ansia il mio parere: “come è andata?”
Io, un po’ interdetta: “Bene!…Bene!…ma perché…soltanto lui?”
Lei dapprima non capì…poi si riprese: “Ah! perché, dici, ho lasciato che godesse solo lui?”
“Perché ero preoccupata, anche se non te lo davo a vedere. Non era una situazione molto “nei canoni”, mi capisci, no? Per anni, ho vissuto queste storie da sola, senza potermi confidare con nessuno e con tutti i possibili sensi di colpa che nascono, anche non volendo. E adesso avevo coinvolto anche te, con tutti i possibili errori che ciò potrebbe comportare per la tua vita futura.
Adesso che si sono rotti gli argini, non so che cosa il futuro potrebbe riservarti, se questo che è accaduto potrebbe incidere su di te negativamente.
“Beh! questo non lo so nemmeno io…resta comunque il fatto che quello se ne è andato tutto soddisfatto…”
Nel frattempo, mi guardava negli occhi mentre avevo detto quest’ultima frase e non diceva nulla.
Ed io le chiesi:”Perché non parli?”
“Niente, se lo capisci, bene, altrimenti….nulla”
Riflettei tra me e me e non mi veniva nulla che mi facesse capire la situazione.
“Che cosa vuole dirmi?” pensavo tra me e me. Poi mi ricordai l’ultima frase che avevo detto, feci i collegamenti e pian piano mi resi conto che mi stava proponendo qualcosa che facevo fatica ad ammettere. Poi presi tutto il mio coraggio e le chiesi: “pensi che potremmo noi …in mancanza d’altro?”
“Si, che ne pensi? Potremmo festeggiare così questo evento…”
“si va bene, però…tutto a luci spente, non mi sento di affrontarti a viso aperto per il momento…”
“Va bene, andiamo, speriamo di essere una forza noi due”
Ritornammo a letto e ci mettemmo sotto le lenzuola, ci spogliammo e ci abbracciammo. Ci baciammo appassionatamente, finché ci capovolgemmo l’una di fronte all’altra, lei stava sotto. Provammo delle emozioni incredibili. Raggiungemmo l’orgasmo forse una decina di volte. Alla fine, eravamo esauste e felici.
Le esperienze successive, altre tre, con uomini, furono divertenti, ma stavolta ci preoccupammo di rimanere tutti soddisfatti: tra seghe spagnole, inculate fino all’orgasmo e ingoio di sperma
“Non essere così volgare…” la riprese sua madre.
“Ma come devo chiamarle queste cose?!…ci fu uno, l’ultimo, che ci chiese di preparargli una torta mettendo come ingrediente anche il suo sperma, ma rimase soltanto nei suoi desideri…ed ora eccoci qua, eccoci qua raccontare storie mentre il suo pisello s’è ammosciato. Mamma! Dobbiamo fare qualcosa! Non puoi permettere che esca di qui, questo pezzo d’uomo, senza aver versato piacevolmente il suo liquido burroso… Anche se sono già vestita e pronta per uscire, rimando il mio appuntamento.”
Prese il suo cellulare e parlò con qualcuno dicendo che avrebbe ritardato.
Rita attese che sua figlia fosse pronta, ma Angela si alzò soltanto il suo top di pizzo nero, si alzò il reggiseno, anch’esso nero, e fece uscire le sue poppe odorose che, chinandosi, le avvicinò alla mia bocca. Quindi, rivolgendosi a sua madre, le diede disposizioni su come doveva sistemarsi: Rita doveva mettersi all’incontrario porgendo il suo sedere di fronte il mio viso, ma con le gambe all’esterno del mio corpo, e con la sua bocca, sul davanti, si portò in bocca il mio pene: ma era importante che non mi facesse “arrivare” troppo presto, le raccomandava Angela caldamente.
A me diede disposizioni di infilare le dita della mano destra, da dietro, nella passera di sua madre raccomandandomi di darle maggiori soddisfazioni possibili. Invece la mia mano sinistra doveva infilarsi sotto la gonna che, come mi fece notare alzandola, non portava nulla sotto, nemmeno uno minuscolo slip: c’era, in evidenza, quel suo groviglio nero, peloso pieno di dolce miele. Così, mentre mangiucchiavo i capezzoli di Angela, nel frattempo davo soddisfazioni agli altri due corpi femminili, e Rita mi teneva in tensione col pene eretto dentro la sua bocca. Quando Rita fece capire a sua figlia che si sentiva soddisfatta, si accertò che anche Angela lo fosse, e la risposta fu affermativa. A quel punto, Angela e Rita all’unisono si spostarono per addossare il loro viso sul mio pene: Angela velocemente aveva però già, di concerto, tolto il top e il reggiseno.
Così, la prima incominciò a roteare la lingua sulla mia cappella, la seconda a slinguare il pene per la sua lunghezza eretta. Tutto questo accadde in pochi secondi, come anche la mia esplosione che inondò i loro visi: tutte e due avevano assaggiato e bevuto qualcosa, il resto bianco-untuoso che scivolava loro dalla fronte fino alle labbra se lo spalmarono come contorno occhi.
Poi si baciarono con voluttà al punto che nonostante fossi esausto, quella visione me lo aveva fatto drizzare. Loro notarono il mio “ritorno” e a turno affondarono la bocca sul mio pene, finché “venni” nuovamente. Toccò a Rita sentire il liquido schiumoso sulla sua lingua, lo assaporò poi, staccandosi, baciò Angela per farlo gustare anche a lei. Quindi, se lo scambiarono un paio di volte. Poi se lo divisero e lo ingoiarono. Dopo, a conclusione, si ribaciarono.
Angela, rivolta a me, “Adesso possiamo salutarci davvero”, venne a darmi un bacio sulla labbra e, alla madre, “Sono un po’ sudata, vado a risciacquarmi ed esco, ciao Ma’”.
Rita mi esortò a rivestirmi, erano trascorse più di due ore e il tempo stimato, per me, per essere in sicurezza, era di due ore e mezza, non di più: aveva telefonato al cellulare di mia moglie, a mia insaputa, prima di chiamare me. Me lo disse soltanto in quel momento, a conclusione del nostro incontro.
Mi rivestii e lei, dopo, accompagnandomi alla porta, mi chiese se volessi un suo ricordo da portare con me.
“Si”, le risposi, “vorrei portare te con me”.
FINE

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