Un ragazzo sul treno – prima parte

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Parte 1

Vi racconto della mia recente esperienza con un ragazzo su di un treno. Andavo da uno scompartimento all’altro quando vidi il bruno teenager giapponese magro seduto con la faccia seppellita in un libro, il sacco accanto a sè. Era da mangiare nella sua camicia bianca, cravatta nera e pantaloncini grigi. Le gambe dorate erano muscolose, da giocatore di calcio, e trasudava giovane fresca innocenza.

Entrai nel suo scompartimento e mi sedetti di fronte a lui. Mi guardò appena quando entrai, ma mi rivolse un sorriso di saluto e piegò la testa alla maniera giapponese. Poi seppellì di nuovo la faccia nel suo manga, fumetti con bei ragazzi.

Le mie speranze che si stavano trasformando rapidamente in piani furono quasi rovinati quando un tipo nordico con lunghi capelli, di poco più di vent’anni entrò nel nostro scompartimento e scaricò il suo zaino delle dimensioni di un piccolo condominio. Chiesi rapidamente al giovane di uscire un momento con me e l’informai che io ero il il tutore del ragazzo, che doveva affrontare un esame veramente difficile e che gli avrei pagato il viaggio se avesse trovato un’altra sistemazione. Ci mettemmo d’accordo molto rapidamente e lui uscì dalla mia vista e dalla mia vita.

Ora, mentre il treno usciva dalla stazione, io avevo quel ragazzo delizioso tutto per me. Mi sedetti davanti a lui guardandolo per venti minuti. Tre o quattro volte lui sentì i miei occhi su di sé, guardò in su e poi rapidamente giù di nuovo. Volevo farlo innervosire e tenni un leggero sorriso sulla faccia. Lui prese una bottiglia di acqua e bevve dandomi l’opportunità di vedere le sue belle e piene labbra in azione.

Dopo un po’ allungai la gamba destra e la strofinai contro il suo polpaccio nudo. Volevo collaudare la sua sottomissione. La sua faccia arrossì, il suoi occhi neri balenarono e si morse il labbro inferiore chiedendosi se era stato solo un incidente. Studiai come le sue giovani forti cosce scomparivano nei pantaloncini grigi ed il leggero grumo all’inguine. Spostai di nuovo la mia gamba su e giù contro la sua. Ora lui sapeva sicuramente che era intenzionale. Lui spostò la gamba allontanandola da me.

Io mi spostai e misi di nuovo la gamba contro la sua. Lui chiuse il libro e, senza guardarmi negli occhi, si alzò ed afferrò il suo sacco. Lo guardai, mi alzai anch’io ed afferrandolo rudemente per le spalle lo spinsi a sedere sul suo posto. Si sedette di colpo e mi guardò. Batté le palpebre e le sue narici si allargarono, era come un giovane puledro. Di età indefinibile come tutti gli asiatici. I suoi capelli erano tagliati in quello stile corto e lungo così popolare tra le pop star asiatiche e tra quelli che le adorano. Mi guardò senza parlare e mordendosi il labbro inferiore.

Gli sorrisi e sedetti di nuovo di fronte a lui. Poi ripresi a strofinare la mia gamba contro il suo polpaccio. Lui disse qualche cosa in giapponese con una voce gutturale da adolescente, molto piano. Io non parlo giapponese e lui lo capì, scosse avanti ed indietro la testa, tentando di dirmi coi gesti che non era interessato a cose gay. Io quasi scoppiai a ridere.

Lui restò a bocca aperta ed i suoi occhi sembravano preoccupati; afferrò la borsa e si alzò di nuovo, questa volta lo sbattei giù un po’ rudemente e lo guardai in viso finché non abbassò lo sguardo al pavimento. Sembrava volesse piangere. Era magnifico, così fresco nella sua linda uniforme, così desiderabile.

Lui unì le gambe e tentò di spostarle da me. Io mi chinai in avanti e misi le mani sulle sue ginocchia nude spingendole per allargarle. Lui mi guardò con orrore, una snella giovane mano liscia si appoggiò al mio polso per fermarmi, ed io la schiaffeggiai via. Gli allargai le gambe ed ora il suo inguine era chiaramente in mostra.

Lo schiaffeggiai sulle gambe per dirgli che le doveva tenerle larghe il più possibile, poi mi sedetti, presi un giornale e cominciai a leggere. Lui restò seduto, stupito, impaurito, rigido con le gambe larghe. Ogni volta che tentava di chiuderle un po’, gli schiaffeggiavo duramente le cosce nude finché un’impronta rossa non appariva sulla gamba nuda e poi gli allargavo ulteriormente le giovani gambe.

Mi piaceva la protuberanza del suo giovane cazzo nei pantaloncini grigi. Lui non sapeva cosa fare, era così comico. Dopo un terzo tentativo rimase seduto a gambe larghe, prese il suo libro e finse di tornare a leggere, anche se io sapevo che la sua mente stava cercando di ragionare.
Dopo un po’ stesi come casualmente di nuovo una gamba e misi un piede tra le sue gambe sopra il cuscino del sedile.

Mi mi guardò con orrore e la sua bocca emise uno strano suono. Io sorrisi e gli dissi: &#034Io non parlo giapponese.&#034 In un giapponese molto cattivo. Lui scosse la testa e disse: &#034No… Io… non voglio… no… prego!&#034
Ma io mi ero messo di nuovo a leggere con un piede alloggiato fra le sue gambe larghe.

Restammo così per quindici minuti mentre io finivo il giornale. La nostra privacy fu interrotta da un colpo alla porta, il bigliettaio entrò per controllare i biglietti. Vidi un bagliore di speranza sulla faccia del ragazzo, mi chinai e misi una mano sulla sua gamba nuda rimettendo il piede sul pavimento. Presi dalla tasca un coltello e lo misi sul sedile vicino a me in modo che potesse vederlo. Vidi il suo pomo di Adamo salire e scendere, era così carino. Diede il suo biglietto al bigliettaio fissando per tutto il tempo il pavimento e con la mano che tremava, ma il bigliettaio non lo notò.

Sorrisi, gli diedi il mio biglietto e quando se ne andò chiusi rapidamente la porta a chiave dall’interno e tirai le tendine. Sentii il respiro affannoso del ragazzo sopra il rumore delle ruote del treno. Potevo quasi sentire l’odore della sua paura. Mi girai e vidi che stava guardando il coltello sul sedile di fronte a lui. Quasi avrei voluto che lo prendesse ma era troppo sottomesso e spaventato.

Tornai a sedermi di fronte a lui e notai che aveva chiuso un po’ le gambe così delicatamente ma decisamente ancora una volta gliele allargai. Questa volta piagnucolò. Allungai una mano e gli slacciai le scarpe. Questo sembrò fargli male fisicamente ed emise un suono come un grugnito, forse stava indovinando quello che stava per accadere: gli tolsi le scarpe e gli feci scivolare giù le calze.

Lui esalò come un fischio e vidi della saliva agli angoli della sua bocca, era veramente impaurito. Ora l’avevo a piedi nudi nello scompartimento, aveva dei bei piedi arcuati. Le dita perfette, forti e
giovani. Mi sedetti e misi di nuovo il piede sul sedile, questa volta tra le sue gambe, (mi ero tolto anch’io le scarpe, allo stile giapponese) appoggiato contro la protuberanza del suo giovane uccello.

Non poteva tirarsi indietro su sedile, doveva tenere le gambe nude allargate, così rimase seduto impaurito pregandomi con gli occhi di lasciarlo in pace.
Con le dita del piede spinsi leggermente, lavorai la sua protuberanza e vidi delle lacrime formarsi nei suoi occhi.

Restammo così per circa dieci minuti, dieci minuti di tortura per il ragazzo. Sono sicuro che per lui furono eterni ma per me furono troppo brevi. Come mi stavo divertendo! Improvvisamente mi alzai e mi mossi verso di lui, come un a****le ferito saltò indietro ed alzò le gambe accucciandosi nell’angolo del suo sedile.

L’afferrai, ora stava tremando e pensai per un momento che si sarebbe pisciato nei pantaloni. Lo misi di nuovo seduto e gli allargai ancora le gambe, questa volta facendo correre la lama del coltello lungo la sua carne liscia per ricordargli di non cambiare posizione. Poi delicatamente gli allentai la cravatta e gliela tolsi. I suoni che scappavano dalla sua tenera bocca erano fischi meravigliosi, strilli, uggiolii e lamenti. Ogni tanto una parola in giapponese o un tentativo lamentoso di implorare che mi fermassi in un terribile italiano.

Misi da parte la cravatta e bottone dopo bottone gli slacciai la camicia. Quando le sue giovani mani si alzarono per fermarmi, io le schiaffeggii rudemente via e per la prima volta gli misi un dito in faccia per ammonirlo. Questo l’inchiodò al suo posto.

Ora le lacrime stavano scendendo sulle sue belle guance. Gli aprii la camicia rivelando un bellissimo torace ed uno stomaco liscio, snello ma ben formato, da adolescente. La pancia era stretta, i pettorali cominciavano a mostrare i muscoli in sviluppo ed erano sovrastati di più meraviglioso di capezzoli rosa che avessi mai visto. Mi sedetti a studiare il mio premio forzandolo a rimanere seduto a gambe allargate, camicia aperta con torace e pancia in mostra, lui non sapeva dove guardare e teneva gli occhi al pavimento.

Dopo altri dieci minuti di agonia per lui, mi alzai e feci rapidamente scivolare via la sua camicia lasciando nudo il suo torso. Mi piacque il piccolo cespuglio nero di peli che gli si stavano formando sotto le ascelle. I capezzoli divennero sodi e le gemme delle tette in rilievo. Piegai la camicia e la misi sul sedile accanto a me vicino alle calze e alle scarpe, poi gli feci segno di alzarsi.

Non si mosse, allora lo afferrai per i capelli e lo tirai in piedi. Rimase in piedi di fronte a me, sulle sue giovani forti gambe di calciatore, col corpo che ondeggiava al movimento del treno, quasi ipnotizzato.

Studiai il suo stomaco ed il suo ombelico attraente, gli girai intorno per guardare il suo sedere ben formato, così bello negli stretti shorts grigi. Allungai una mano e gli accarezzai la pancia. Inspirò come se tentasse di allontanarla dalla mia mano. Stupido.

Feci correre la mano sul suo torace e sentii ognuna delle tette mentre lui risucchiava l’aria e la saliva gli gocciolava dalla bella bocca. Una volta tentò di allontanarsi ed io gli schiaffeggiai con forza il viso. Dopo di che rimase fermo accettando la mia m*****ia, il mio abuso. Gli toccai il collo morbido, le spalle, le ascelle bagnate dal sudore della paura. Scesi alle sue anche ed infine mi fermai sul bottone dei pantaloncini.

Trattenne il fiato sapendo quello che stava per accadere ed incapace di accettare la sua umiliazione e degradazione. Gli aprii i pantaloni guardandolo in faccia per tutto il tempo. Il moccio formò bolle dal suo naso così grazioso, i suoi occhi sembravano frenetici, come quelli di un a****le intrappolato. Feci scendere la cerniera degli shorts e li trascinai giù. Portava un piccolo paio di slip blu, la maggior parte degli asiatici preferiscono mutande molto piccole ed io le preferivo su un ragazzo così.

Ora potevo vedere il suo uccello chiaramente delineato. Era un cazzo medio che formava un angolo verso l’alto alla sinistra nelle piccole mutande e sotto le belle palle piene.

I pantaloncini scesero alle sue caviglie, gli dissi di uscirne e li misi con la sua camicia. Ora il suo corpo si stava scuotendo quasi incontrollabilmente, pensai che probabile sarebbe caduto. Misi una mano sul suo sedere sodo e glielo strinsi. Lui fece un rumore come di aria che esce da un pallone.

Potevo vedere la cima della sua fessura del sedere sopra la cintura delle mutande, capii che aveva una bella fessura profonda e due globi sodi e rotondi. Un forte giovane sedere grazie allo sport.

Quando misi le dita sulla sua protuberanza lui precipitò sul suo sedile come un ubriaco guardandomi nudo a parte le mutande. Gli feci l’occhiolino e gli allargai le gambe. Mi ci misi in mezzo, mi chinai e cominciai a leccargli leggermente le tette. Lui tentò di contorcersi ma naturalmente lo feci ancora sedere mentre lavoravo i giovani capezzoli gonfi.

Poi mi inginocchiai tra le sue gambe, presi la sua bella faccia liscia nelle mie mani e lo baciai sulla bocca; prima tentò di res****re ma lo costrinsi con la lingua ad aprire la bocca e cominciai un bacio francese assaggiandogli i denti, le gengive e la lingua, riempendogli con la mia saliva la cavità orale ed assicurandogli il bacio più lungo e bagnato della sua giovane vita.

Lo vidi guardare freneticamente da una parte all’altra, lo sentii soffocare, come se stesse per vomitare.

Lo costrinsi a chiudere la bocca e gli tenni il naso chiuso per costringerlo ad ingoiare la saliva che avevo depositato nella sua bocca.
Lo feci tre volte finché non fu capace di tenere la bocca aperta mostrandomi il lago di saliva senza soffocare.
Era così grazioso con le gambe ed i piedi sul sedile e quando doveva ingoiare la saliva le dita dei piedi si arricciavano ed il corpo saltava come se fosse sotto elettrochoc. I suoi capelli ora erano spettinati e stava sul sul sedile, nudo a parte quelle piccole mutande blu sexy, le gambe larghe, il torace ansante, la bocca aperta e gli occhi rossi e lacrimosi.

Mi misi a pochi centimetri dalla sua faccia e strofinai la dura protuberanza nei miei pantaloni. A quel punto capì cosa stava per succedere e tentò di raggiungere la porta, senza curarsi di essere quasi nudo. L’afferrai e lo scossi come una bambola di stracci. Poi lo schiaffeggiai con forza in faccia quattro volte. Il suo labbro inferiore tremava ed i suoi occhi erano selvatici.

Lo feci sedere rudemente e lui si sedette tremante, non per il freddo ma per la paura. Mi misi tra le sue gambe e giocai di nuovo con l’uccello nei miei pantaloni. Per farlo con un ragazzo devi essere bravo a raccogliere certi segnali; devi sapere quando spingerti in avanti e quando retrocedere, quando minacciare e quando blandire.

Perché non gridò per chiedere aiuto? Perché sapeva che chiunque avrebbe potuto vedere la sua vergogna e la sua degradazione. Misi una mano dietro alla sua testa e portai la sua faccia al mio inguine. Lui piagnucolò e poi il suo naso e la bocca furono pigiati contro il mio cazzo duro ed enorme nei jeans. Poteva sentire attraverso la stoffa l’odore della mia verga affamata, ansiosa e sbavante per il desiderio di essere sguinzagliata? Gli feci sentire il contorno del mio attrezzo. Poi rapidamente mi tirai indietro, mi sedetti, presi una mela dalla mia borsa e lentamente la mangiai.

Mi guardò incredulo a bocca aperta, il corpo coperto di sudore, i capelli incollati alla fronte, il torace ansante, le tette dure, i capezzoli rosa e la pancia in agitazione. Le gambe larghe, i piedi piegati, le dita dei piedi arricciate. Mangiavo la mela, studiavo il suo giovane corpo lucente da puledro e quello che vedevo era molto, molto piacevole. Quel ragazzo di cui non conoscevo il nome ne la lingua, quel sano, normale, sportivo, ragazzo stava per essere inculato.

Stava per avere un cazzo duro spinto nel suo giovane sedere, nel suo retto verginale e stretto, un atto da cui non si sarebbe mai ripreso, un’emozione ed una ferita mentale da cui non sarebbe mai guarito. Stava per essere chiavato come una ragazza nella passera. Stava per essere usato come una fica. Lui lo sapeva. Potevo vedere nei suoi occhi che lo sapeva e non c’era niente che potesse fare.

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