UGLY BETTY

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Il mio lavoro, soprattutto ad inizio carriera, prevede continui cambi di sede e settori operativi. Vieni messo costantemente alla prova e solo se dimostri di avere le cosiddette “palle” allora….

Fui destinato ad una grande sede in una grande città. Destinazione veramente dura. Lì i caimani e gli sciacalli abbondavano. Avrei dovuto ingoiare bocconi amari e rendermi duro più dell’acciaio.

Dopo le presentazioni al direttore e le assegnazioni dei compiti mi accompagnarono nella mia stanza. Da paura. Arredi fatiscenti, pareti grige, finestra che si affacciava direttamente su di un muro. Ci pioveva anche dentro e la climatizzazione funzionava a momenti. Sapevo di iniziare dal punto più basso ma non così in basso. Come ciliegina sulla torta mi fu assegnata come assistente una stagista: Betty. Quando si presentò mi prese lo sconforto. Mora, di media statura e un po’ grassottella. Vestita con una gonna scozzese che scendeva ben oltre il ginocchio, golfino di cotone con fantasie allucinanti, occhiali spessi con montatura allucinante, acconciatura di capelli da collegiale fermati con una farfallona colorata. Non si poteva guardare. Pensai che fosse davvero uno scherzo.

Beh…ok…ne avrei avuto di lavoro per risalire la corrente. Forse volevano davvero mettermi in difficoltà per vedere di che pasta ero fatto. Ovviamente i miei colleghi vivevano in tutt’altra condizione ed ogni volta che mi venivano presentati non potevano trattenere un risolino beffardo. Che rabbia!!! Ma avrei lottato con le unghie e con i denti per salire in classifica.

Tanto per iniziare, a mie spese, comprai alcune cosette per rendere l’ambiente di lavoro meno squallido. Qualche pianta, qualche poster, un nuovo attaccapanni. Due sedie per i clienti. E soprattutto una sana ripulita all’ambiente. In questo Ugly Betty (Betty la brutta – come la protagonista della famosa serie tv) fu davvero fantastica e, con una dedizione insospettabile, si prestò ad aiutarmi in questo restauro. Alla fine eravamo davvero soddisfatti e, lavorando fianco a fianco in queste umili operazioni, avevo scoperto diversi lati positivi della ragazza. Tanto per iniziare la dedizione al lavoro, la puntualità e una forte determinazione. Beh…sarà stata impresentabile…però era almeno un’ottima collaboratrice. In passato avevo avuto anche delle belle fighe come assistenti ma guai a farle sporcare le mani o mettere a rischio le loro unghie!!! Invece Ugly Betty era disposta veramente a combattere !!! Almeno quello…

In breve tempo riuscimmo a risalire in classifica e i direttori cominciarono ad accorgersi che eravamo una buona squadra. Ci affidarono incarichi importanti e riuscimmo a portare a casa ottimi risultati. Certo, era un’ottima lavoratrice….ma non si poteva guardare. E non volevo umiliarla col dirle di vestirsi in un’altra maniera o tenersi …insomma…un po’ meglio. Ci avrei lavorato….ma non sapevo come fare.

L’occasione fu data dalla cena aziendale di fine anno. Occasione nella quale ognuno di noi esibiva le proprie assistenti come una sorta di trofeo. Più figa è la tua segretaria, più sei importante. Mi avrebbero fatto a pezzi. Non osavo immaginare come si sarebbe acconciata Ugly Betty. Con molto tatto cercai di farle capire che era importante…come dire….apparire. Lo so…è brutto e stupido da dire…ma in certi ambienti funziona proprio così !!!

Così, la mattina del fatidico giorno, le provai a far capire in maniera molto diretta che non poteva assolutamente presentarsi così alla cena. Le detti la giornata libera fissando l’appuntamento sotto casa sua per le 20 (visto che non aveva la macchina e che mi sarei dovuto accollare anche il passaggio). Per tutto il pomeriggio i colleghi mi bombardavano di frecciate e battute davvero pesanti considerato che loro erano tutti quanti muniti di assistente figona. Strinsi i denti ed incrociai le dita.

Avevo davvero paura. Quando arrivai sotto casa sua mi contorcevo le mani nervosamente nell’attesa. E finalmente….eccola. Era andata dal parrucchiere, aveva cambiato montatura di occhiali ed indossava un tailleur nero con camicia bianca che comunque la rendeva almeno presentabile. Le feci (sopprimendo violentemente qualsiasi critica) i complimenti…come per incoraggiarla. Lei era più nervosa di me. Lo sentivo. Nel tragitto da casa sua al ristorante non pronunciammo parola. Continuavo ad incrociare le dita.

Al ristorante i miei colleghi sfoggiavano le loro figone di assistenti vestite in abito da sera, tutte luccicanti, cotonate, con ampie scollature. Beh…ero davvero l’ultimo della classe. Come non bastasse ci misero al tavolo col direttore della filiale ed uno dei nostri clienti più importanti (francese che masticava a malapena qualche parola di italiano).

Iniziò la cena. La conversazione languiva anche perché il direttore voleva lasciare il giusto spazio all’ospite il quale, in evidente difficoltà, cercava di far capire il suo grado di apprezzamento sul nostro lavoro, sul nostro cibo, sul nostro vino e sulle nostre donne. Nessuno riusciva ad interloquire con lui. Tutti quanti conoscevamo l’inglese abbastanza bene…ma di francese…niente!!! Fino a quando, su un discorso troppo complicato per essere capito, intervenne Ugly Betty la quale, molto timidamente tradusse il pensiero dell’ospite che noi avevamo male interpretato.

“Conosci il francese?” – le domandai sottovoce
“Sì…me la cavo. Anche un po’ il tedesco e lo spagnolo se serve.” – mi rispose sempre timidamente

Da quel momento divenne la traduttrice ufficiale del tavolo e sorprese tutti quanti per la capacità di tradurre in tempo reale le discussioni che venivano fatte. Il direttore era al settimo cielo e mi guardava con aria soddisfatta come se fosse compiaciuto di me. Io, tra il soddisfatto ed il preoccupato per eventuali gaffes, silenziosamente mi dedicavo all’assunzione di sostanze alcoliche (anche troppo). Alla fine della cena il direttore mi prese da una parte e in maniera molto confidenziale, tenendomi sottobraccio mi disse “Bene, molto bene. Sta svolgendo un’ottimo lavoro. Sono molto soddisfatto.” (come se il merito della cosa fosse stato mio!!!).

I miei colleghi (e le assistenti figone a rimorchio) schiattavano dalla rabbia. Quando risalimmo in macchina rimasi seduto sul sedile a godermi l’aria fredda come a cercare di riprendermi da un bel sogno. Lei mi guardava timidamente silenziosa. Non capiva neanche quello che era successo. Troppo giovane, troppo ingenua per capire la malignità di certi ambienti.
“Che ha? Si sente male?” – mi domandò visto che non mettevo in moto la macchina
“Mi sento benissimo….mi sento davvero bene. Era da tanto che non mi sentivo così! E questo grazie a te. Non ti rendi conto di quello che è successo?”

Scosse la testa guardandomi perplessa. Misi in moto e durante il tragitto verso casa sua cercai di farle capire la cosa. Lei silenziosamente ascoltava ed ogni tanto, molto umilmente, affermava che quello che aveva fatto era poca cosa. Arrivammo sotto casa sua. Spensi il motore. Silenzio.

“E’ stata una bella serata” – le dissi soddisfatto. Mentre stavo pronunciando queste parole lei mi domandò, come in apnea, se volevo salire da lei per bere qualcosa.

Silenzio. Ma sì…cazzo, mi dissi, che problema c’è? In fondo è a lei che devo questo momento di successo. Accettai. Lei, come se avesse preso la scossa, entrò in agitazione. Forse non se lo aspettava. O forse non si aspettava neanche di aver trovato il coraggio per chiedermelo. E fu una scena davvero delicata e divertente. Le tremavano le mani, non trovava le chiavi nella borsa, non riusciva ad aprire la porta. E una volta entrati nel suo appartamento cominciò a girare vorticosamente per casa per far sparire i vestiti e riordinare i cuscini sul divano. Fece apparire dalla cucina una bottiglia di spumante (di dozzinale qualità) e due bicchieracci. Aveva organizzato la cosa? – mi domandai. Passò a me la bottiglia affinché la stappassi e ci sedemmo sul divano, luci soffuse e sottofondo di Mina (?)….

Avevo bevuto alla cena. E non poco. Quell’ulteriore immissione di liquidi nel corpo mi dette il colpo di grazia. Mi scappava la pipì….violentissimamente. Le chiesi di poter andare in bagno. Mi indicò la porta.

Mentre percorrevo il corridoio illuminato, passai davanti alla sua camera da letto. Il cono di luce che penetrava nell’ambiente illuminò uno strano oggetto appoggiato sul suo comodino. Un vibratore. Un bel pisellone di gomma, bello…fatto bene di dimensioni quasi simili alle mie. Entrai in bagno sorridendo. “Hai capito la ragazzina???” – mi dicevo – “Allora non è così suora come vuol far sembrare.” Mentre pisciavo la immaginai nuda sul suo letto mentre si piantava quel cazzo di gomma nella passera. Mi eccitai.

Fino ad allora non avevo mai proprio considerato Ugly Betty come soggetto degno di attività erotica. Ma adesso…ero lì…in casa sua…brillo…e col cazzo che mi cresceva tra le mani. Sapevo che era professionalmente sbagliato ma decisi di stare a vedere le cose come sarebbero andate.

Lasciai l’uccello già abbastanza gonfio fuori dai boxer in maniera tale che lei si accorgesse della cosa.

Uscendo dal bagno e ,gettando lo sguardo verso il suo comodino, mi accorsi che il suo “amico di gomma” era sparito. Probabilmente se ne era accorta e se ne era comprensibilmente vergognata. Tornai in salotto. Lei era seduta sul divano. Si era tolta la giacca e non potei non notare che aveva sganciato qualche bottone della camicetta.

Per la prima volta mi resi conto che aveva un bel seno rigoglioso. Mi misi accanto a lei riprendendo il mano il bicchiere e avendo molta cura che il pacco fosse ben evidente. Cercai di farla parlare…dei suoi studi, della sua famiglia. La voce le tremava. Non aveva il coraggio di guardarmi serenamente negli occhi. Bevve altro spumante…tutto d’un fiato…come se volesse darsi coraggio. Intanto io, con movimenti impercettibili, ero arrivato al suo fianco…a contatto col suo corpo.

Lei non sapeva dove mettere le mani. Se le contorceva nervosamente mentre parlava con sempre maggiore difficoltà. Io mi divertivo ogni tanto a dare una strizzatina velocissima all’uccello che adesso stava diventando davvero duro. Le scansai i capelli che le coprivano il viso e prolungai la carezza sul suo collo. Ebbe come un fremito e velocissimamente la sua mano mi artigliò una coscia per risalire verso l’inguine. Ma proprio mentre stava per arrivare a prendermelo in mano saltò in piedi dal divano come se l’avesse morsa un serpente.

“Mi scusi…io…non…volevo.” – disse balbettando

La guardai sorridendo (probabilmente in maniera beffarda). Mi calai la zip dei pantaloni ed estrassi l’uccello in piena erezione completamente scappellato. Stavo facendo la cazzata. Ma a quel punto…ero ubriaco ed eccitatissimo. Impossibile tornare indietro.

Lei ebbe come un sussulto. Girò la testa come per non guardarmi. Poi, invece, di getto mi si lanciò addosso e in pochi istanti ingoiò completamente l’uccello. Mi lasciai andare sul divano, mi slacciai i pantaloni mentre lei non accennava a mollare l’osso. Un po’ in difficoltà per la posizione, riuscii comunque a penetrare nella sua camicetta ed apprezzare la consistenza ed il volume delle sue tette.

Interruppe il pompino e sollevandosi mi sbarellò di fronte agli occhi due belle tette corredate di un bel capezzolone ritto. Mi ci catapultai addosso, mordendogliele, leccandogliele, strizzandogliele.

“Era dal primo momento che l’ho vista che sognavo di….” – mi disse continuando rispettosamente a darmi del lei (che buffa!!!) mentre mi sbizzarrivo con le sue tette.

Con una mano intanto provavo a penetrare sotto. Ma la gonna era molto stretta e da sotto c’era l’ostacolo dei collant e delle mutande. Capendo la mia difficoltà si alzò e provò velocemente a liberarsi dei vestiti. Non le detti il tempo di farlo. La presi in collo e l’appoggiai a gambe all’aria sul tavolo.

“No…ma aspetti…ora cerco di….” – mi disse come preoccupata

Le strappai i collant, le scostai le mutandine che indossava e mi gettai con la bocca su quella figa pelosa che mi si presentò di fronte agli occhi. Ero impazzito. Di certo. Lei rimase senza fiato fino a quando cominciò a tremare come una foglia. Mi bagnò completamente il viso del suo piacere.

“Mi scusi…non volevo…” – continuava il suo ruolo di subordinata e questo mi faceva ancora di più eccitare.

Mi alzai in piedi, lei era praticamente ancora vestita. Aveva le tette fuori dalla camicetta e la fica che spuntava dai collant strappati. Senza che aggiungesse niente, in un sol colpo, le calai l’uccello in quel lago di piacere. Sgranò gli occhi ed emise un lunghissimo rantolo. Lanciò la testa all’indietro e con le mani si aggrappò alle tette come per sopportare i colpi profondi che le stavo affibbiando. Era come svenuta. Venne non so quante volte. Alla fine, quando stavo per venire, scivolò dal tavolo accoccolandosi tra le mie gambe e tirandosi i capelli indietro affinché la colpissi sul viso con lo schizzo di sborra. Mi presi in mano l’uccello e comincia a masturbarmi lentamente e a s**tti a pochi centimetri dal suo viso.

“Venga…mi venga addosso…” – mi esortò quasi con premura

Le lavai la faccia con diversi schizzi. Lei premurosamente si abboccò all’uccello ripulendomelo dolorosamente. Rimase tra le mie gambe con la testa davanti al mio uccello pendulo…in silenzio. Io ero senza fiato e con i pensieri che mi affollavano la mente per i possibili sviluppi di questa cosa.

“E’ stato bene?…” – mi chiese con voce debole

Mi accoccolai accanto a lei. E in silenzio l’abbracciai.

“Perché non smetti di darmi del lei…adesso?” – le sussurrai in un orecchio
“Lei è sempre il mio capo ufficio…la stimo e la rispetto. Sta facendo tanto per me e le sono grata per tutto quello che mi sta insegnando” – rispose con tono deciso ma gentile.

Ugly Betty adesso, dopo tanti anni da quella serata, è una delle maggiori dirigenti di quella azienda. E’ a capo di settori strategici e prende decisioni importanti. Ha perso almeno dieci chili, si veste firmata, viaggia in BMW ed è in odore di presidenza del CDA.

Continua a darmi del lei.

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